QUALITÀ TECNICA DELLE IMMAGINI MAMMOGRAFICHE: NUOVE TECNOLOGIE E FORMAZIONE
La pubblicazione dell’articolo di Vania Galli (Responsabile regionale del gruppo di coordinamento TSRM per lo screening mammografico in Emilia Romagna) e colleghi sul Journal of Medical Radiation Sciences diventa occasione per un confronto sulla cultura del monitoraggio all’interno dei programmi di screening.
L’articolo, An image quality review programmed in a population-based mammography screening service, presenta il percorso compiuto in oltre vent’anni dal gruppo di lavoro TSRM coordinato da Galli nell’ASL di Modena che ha portato al Protocollo di valutazione della qualità tecnica dell’esame mammografico, esteso prima alla Regione Emilia Romagna e recentemente ad altre Regioni d’Italia (qui è disponibile un approfondimento). In particolare, il Protocollo si propone come strumento integrativo ai modelli di valutazione della qualità delle prestazioni tecniche in mammografia, attraverso percorsi di formazione e specifiche proposte per il monitoraggio della qualità tecnica dell’immagine radiografica.
Sul ruolo che un contributo di questo tipo possa avere nei programmi di screening mammografico in Italia si confrontano le posizioni di Antonio Rizzo, responsabile del Servizio di anatomia patologica presso l’Humanitas di Catania, e Stefano Pacifici, presidente dell’Associazione Italiana dei Tecnici di Radiologia Senologica.
I due commenti permettono di riflettere sull’impatto che le nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale in particolare, possano avere sul miglioramento della qualità tecnica degli esami, e sulle modalità auspicabili di apprendimento e di coinvolgimento degli operatori.
Il commento di Antonio Rizzo
Nel corso del 2021, l’articolo di Galli viene ripreso nuovamente all’interno dell’editoriale The role of quality improvement in radiography, in cui gli autori analizzano i lavori pubblicati sul Journal of Medical Radiation Sciences nel corso di quest’anno su problematiche legate alla qualità di indagini radiologiche. In particolare, l’editoriale conferma il ruolo fondamentale nel processo di garanzia della qualità degli audit di verifica delle possibili criticità e sottolinea come sia fondamentale attuare azioni di miglioramento continuo della qualità. In tal senso, il lavoro di Galli su inadeguati tecnici nello screening mammografico viene indicato nell’editoriale come esempio virtuoso di quello che dovrebbe essere un programma di qualità. Il coinvolgimento attivo di ciascun operatore sotto la guida ed il confronto di un referente locale delinea un processo di miglioramento continuo che supera il mero concetto di rispetto di standard e requisiti.
In realtà, l’apparente dicotomia suggerita dall’editoriale (programma di garanzia della qualità VS programma di miglioramento continuo della qualità) si risolve nell’indissolubile legame tra analisi, verifica dei dati e successive azioni volte ad un miglioramento continuo. Tutto ciò si realizza al meglio a mio parere attraverso il coinvolgimento attivo degli operatori, ovvero non come mero controllo delle azioni che hanno portato a certi risultati: un’impostazione di un programma di qualità che lasci intravedere azioni punitive o di mero controllo potrebbe generare atteggiamenti di “difesa” da parte degli operatori. La crescita culturale deve essere uno degli obiettivi principali: coinvolgimento attivo, come valorizzazione e crescita professionale. In altri termini Qualità come essenza, momento qualificante della propria professione, quindi massima realizzazione della propria dignità lavorativa. Gli audit di analisi, l’aderenza agli standard (minimi o ottimali) sono necessari, ma non possono e non devono essere il fine ultimo di un programma di CQI (Continuous quality improvement). Anzi, la partecipazione consapevole e motivata dei professionisti può far emergere soluzioni innovative a problemi o criticità rilevate. Indubbiamente, sistemi di intelligenza artificiale e machine learning faciliteranno la rilevazione di “errori”, criticità, o ne faranno emergere di nuove, riducendo drasticamente i tempi necessari per le analisi. Tuttavia, questo non ridurrà lo spazio professionale per gli operatori, che dovranno invece acquisire capacità di interpretazione dei dati in un ‘ottica multidisciplinare e multiprofessionale.
Purtroppo, nel nostro SSN è assente la mancata istituzionalizzazione dei CQ: ad onor del vero, in vari leggi e decreti viene richiesta la partecipazione a programmi di garanzia della qualità, ma poi nella realtà tali aspetti vengono generalmente considerati non produttivi, mero aggiornamento professionale e non atti clinici al pari dei momenti diagnostici o terapeutici. Un programma di garanzia di qualità dovrebbe essere parte integrante e centrale di ogni sistema sanitario come attività istituzionale. Purtroppo, molto lungo è il percorso da compiere in questo senso: tali attività, pur essendo largamente previste ad esempio nell’intesa stato regioni che ha istituito i centri di senologia in Italia nel 2014, sono in larga parte disattese. In questo senso, l’assenza di site visit di verifica obbligatorie porta all’autocertificazione di aziende sanitarie e regioni, creando un quadro opaco di interessi non sempre trasparenti. La meritoria azione dell’Osservatorio Nazionale Screening di organizzare site visit sul territorio rappresenta purtroppo mera testimonianza, vista la volontarietà delle richieste di verifica da parte di poche aziende sanitarie.
In questo quadro, si inserisce il manuale del programma di garanzia della qualità europeo recentemente pubblicato che rappresenta il tentativo di istituzionalizzare tali aspetti nei paesi aderenti alla comunità europea, offrendo una base comune minima per raggiungere l’obiettivo di una reale riduzione della mortalità nelle pazienti con neoplasia mammaria. Lo schema, dopo un iter assai travagliato, risulta, a mio avviso, decisamente dignitoso, e prende come base la certificazione EUSOMA per i criteri specifici per la patologia mammaria ed alcuni aspetti della certificazione JCI e CPA per i criteri generali.
La validità dell’impianto generale, che individua negli audit clinici il momento in cui si analizzano criticamente i risultati raggiunti con il contestuale avvio di processi di miglioramento continuo come quelli precedentemente accennati, non può tuttavia non far evidenziare 2 criticità principali:
- I tempi lunghi tra l’inizio dei lavori e la loro conclusione (circa 5 anni) per cui alcune considerazioni appaiono in ritardo rispetto all’evoluzione degli aggiornamenti in letteratura
- Lo squilibrio nell’impianto iniziale ove la parte “oncologica” e perfino quella “chirurgica” appaiono “poveri” e sovrapponibili all’ormai datato impianto della intesa stato regioni del 2014, fra l’altro mai pienamente applicato nelle nostre breast unit.
Infatti, la progressiva introduzione della terapia neoadiuvante in alcuni sottotipi anche in neoplasie T1cN0 o la gestione non necessariamente chirurgica dei B3 impongono una rivalutazione complessiva del PDTA, per ottimizzare risorse e gestire in maniera appropriata le pazienti, evitando richiami o esami inutili.
Per tanti anni si è discusso se lo screening (e quindi le Linee guida europee) dovessero comprendere l’intero percorso della paziente o soltanto la parte diagnostica. Oggi è irrinunciabile pensare all’intero percorso, con stretta integrazione dello screening con le breast unit. Il tutto in un percorso dove il miglioramento continuo della qualità (e non la mera istituzione formale delle breast unit e dei programmi di screening) è conditio sine qua non per la riduzione della mortalità.
Lo schema di qualità europeo potrebbe rappresentare un momento di stimolo verso le istituzioni affinché si realizzi una svolta culturale: da una sanità del rispetto dei vincoli di bilancio ad una sanità che coniughi e leghi le risorse all’appropriatezza dei percorsi e valutazione degli esiti.
Il commento di Stefano Pacifici
Il sistema di valutazione della qualità mammografica denominato PGMI (acronimo di Perfect, Good, Moderate, Inadequate) da cui deriva il “Protocollo”, è stato da sempre, ma soprattutto in questi ultimi anni, oggetto di critiche e discussioni circa la sua validità e, soprattutto, applicabilità. (Si vedano a questo proposito gli studi pubblicati su Radiography da Hill (Mammography image assessment; validity and reliability of current scheme. Radiography, 2015; 21 (4): 304-307) e Boyce (Comparing the use and interpretation of PGMI scoring to assess the technical quality of screening mammograms in the UK and Norway. Radiography, 2015; 21 (4): 342-347).
La necessità di stabilire un metodo di valutazione standardizzato era già stata espressa in uno studio multicentrico internazionale del 2017 (Mammographic image quality in relation to positioning of the breast… Radiography, 2017; 23 (4): 343-349) e agli autori della versione applicata in Emilia Romagna va senza dubbio riconosciuta la trasformazione di un sistema rigido, binario, con l’introduzione di una serie di sotto-criteri utili ad ammettere più gradi di verità/errore e consentire, oltre all’upgrade di alcuni esami di qualità non classificabili come perfetti dal PGMI tradizionale, l’individuazione di immagini inadeguate e la ripetizione delle relative proiezioni mammografiche.
Tuttavia, nell’opinione di Aiters, anche la versione del Protocollo presenta dei punti di caduta rispetto alla versione originale, individuabili in primis nella soggettività dell’interpretazione dei dati. Un’interpretazione che viene resa peraltro più complessa e che comporta la necessità di un istruttore esperto e una lunga curva di apprendimento dell’utilizzo auto-valutativo dello strumento.
In quelle realtà, purtroppo molte, ove il personale tecnico non sia dedicato specificamente allo screening, i due momenti dedicati rispettivamente all’apprendimento dell’utilizzo dello strumento ed alla sua messa in pratica nella correzione degli errori riscontrati, possono presentare uno scarso rapporto costo-efficacia.
D’altra parte, ci appare oggi anacronistico lo sviluppo di tali modelli, già sostituiti efficacemente da software che sfruttano l’intelligenza artificiale e il deep learning: il mercato già offre soluzioni che trasformano il momento dell’autovalutazione in occasione di autoapprendimento, suggerendo gli interventi correttivi necessari in tempo reale e senza interventi esterni, rendendo possibile il monitoraggio della qualità dell’operato del singolo tecnico, della facility e, più globalmente, del programma regionale.
Il nostro parere va verso un miglioramento dell’AI e delle machine learning già esistenti con l’auspicio di istituire un gruppo di lavoro multicentrico interregionale coinvolgendo le società scientifiche di riferimento: definire parametri di correttezza condivisibili, trasferire il know-how all’industria e realizzare un prodotto standardizzato e flessibile all’insegna di una collaborazione efficace.